venerdì 29 aprile 2011

Censura tu che io non son d'accordo.

Sono della metà degli anni 70 del secolo scorso e sono stufo. Stufo di leggere argomentazioni errate a sostegno della dannosità dei cartoni animati giapponesi che hanno accompagnato nella crescita noi bambini di quegli anni.
I cartoni Disney sono migliori, sono educativi, sono disegnati meglio, loro si che hanno delle belle storie, mica quella robaccia giapponese tutta uguale e fatta al computer. Nel 1970? Al computer? Ma che volete che facessero negli anni 70 col computer in Giappone? A stento era diffusa la calcolatrice!
Mettiamo un po' d'ordine.
Per realizzare un prodotto di animazione destinato alla televisione, perché di questo che stiamo parlando, si partiva dalla stesura della storia che coprisse un arco narrativo di almeno 26, 52 o più settimane, un episodio a settimana. Storia che poteva essere originale o più spesso tratta da un manga di successo.
Il tutto ha inizio nel 1963 quando vede la luce la serie Tetsuwan Atom (Astro Boy). La prima serie animata trasmessa dalla televisione giapponese ha grande successo e l'anno seguente le succede Big X. Nell'ottica del successo ottenuto nel 1965 Jungle Taitei (Kimba il leone bianco) ottiene un nuovo primato come prima serie animata giapponese a colori. L'avvento di questo genere d'intrattenimento sui teleschermi giapponesi si ha grazie al Manga no Kamisama (dio del manga) Tezuka Osamu. Nato nel 1928, a Toyonaka, diventa il più grande mangaka, fumettista, giapponese di tutti i tempi.
Per l'arrivo in Italia delle sue opere è ancora presto. Il nostro paese si sta riprendendo dai disastri della Grande Guerra e sta entrando nel periodo del boom economico. Le televisioni sono ancora poche, per lo più collocate in luoghi pubblici, e servono come fattore di aggregazione sociale. I programmi in bianco e nero sono trasmessi solo dalla prima rete televisiva pubblica italia, che a breve sarà affiancata dal secondo canale. I pargoli italiani dovranno aspettare la fine degli anni 70 per assistere per la prima volta ad una nuova forma di intrattenimento.
Nel 1976 inizia una silenziosa, simpatica, costante, pericolosa per alcuni, invasione giapponese in Italia. Rete 2 trasmette per la prima volta un cartone animato di origine nipponica il pericolosissimo "i Barbapapà". Il pericolo continua subdolo l'anno seguente con lo sconcertante "Vicky il vichingo" e poi, ancora a distanza di un anno, l'anticulturale "Heidi", oltretutto ambientato sulle Alpi svizzere. Sempre nel 1978, però, arriva quello che renderà indimenticabile a tutti l'infanzia. La renderà dimenticabile ai bambini di allora che ne seguivano le gesta ed ai loro genitori che avrebbero iniziato battaglie legali, minacciato punizioni, limitando la visione ai figli di: Atlas UFO Robot. Si proprio lui il grande, indimenticabile Goldrake!
E' stata l'opera di un mangaka giapponese di successo, amante della cultura e dell'Italia, nato nel 1945 a Wajima, a far esplodere nel nostro paese la passione per gli anime. Le opere di Nagai Go, destinate in origine ad un pubblico di adolescenti, sono state riversate addosso a bambini italiani di tutte le età. I colori, le strane storie, i forti personaggi delle sue molteplici saghe robotiche (Goldrake, Mazinga Z, Il Grande Mazinga, Jeeg Robot d'Acciaio, per citarne alcune) hanno segnato nel bene le infanzie di molti di noi.
A pochi anni dall'arrivo degli anime in Italia, siamo ormai nel 1983/5, dopo che i nuovi venuti dall'oriente hanno già aiutato a crescere migliaia di ragazzini, instillato nuovi modi di dire nella lingua italiana, sviluppato la fantasia di milioni di persone, qualcuno fa osservare come tali programmi siano violenti ed inadatti ad un pubblico giovane. Siamo, appunto, negli anni ottanta. Centinaia di anime sono state importanti dal Giappone, sottoposti a traduzione in italiano, adattate e trasmesse dalle diverse reti televisive che ormai popolano gli schermi autoctoni. Ricordiamo come, nel frattempo, alla tv di Stato si è affiancata una rete di televisioni locali private che hanno fatto dei cartoni il loro cavallo di battaglia. L'importazione di molteplici anime dello stesso autore (quello delle opere di Nagai è un caso), la difficoltà di traduzione e la ricorrenza del medesimo personaggio a fare da unione tra varie serie hanno instillato, nei contestatori, una strana convinzione. Il concetto ormai radicato è che i cartoni animati giapponesi "sono tutti uguali e disegnati al computer". Esaminando il caso "Nagai" possiamo notare come il plot sia ovvio (i buoni si fanno i fatti loro, arrivano i cattivi, i buoni vanno a combattere, sembra che perdano e poi vincono), ma di successo e la presenza ricorrente di Koji Kabuto (chiamato coi nomi più strani nelle varie serie, Alcor in Goldrake, Ryo in Mazinger Z) potremmo trovare la scusante per alcuni errori di valutazione in cui sono incappati i contestatori. Inoltre, l'assurda convinzione che essendo il Giappone un paese molto più tecnologicamente avanzato del nostro potesse usare i computer per disegnare i cartoni non ha mai trovato alcun riscontro. Anzi, si è rivelata un'arma a doppio taglio per i crociati della morale, quando la stessa Disney per un prodotto cinematografico, "La Bella e la Bestia", ne ha fatto massiccio uso, ma era il già il 1991(dopo qualche esperimento nel 1988 per gli ingranaggi del Big Ben in "Basil l'investigatopo" e nel 1989 per il mare de "La Sirenetta") . In Giappone un uso così intenso di tale tecnologia si avrà solo per opere cinematografiche ai primi degli anni 2000, mentre per vederla in modo quasi invadente nelle serie televisive si dovrà aspettare oltre la metà del primo decennio del nuovo secolo.
A scanso di equivoci sottolineiamo, quindi, che i cartoni con i quali siamo cresciuti sono stati realizzati da artigiani dell'animazione. Uomini e donne, e non automi, che con passione, dedizione, abilità, e necessità di uno stipendio, lavoravano per 12 ore al giorno, anche su turni, chini su rodovetri a disegnare, colorare e rifinire ogni singolo fotogramma che noi avremmo poi visto animato sullo schermo. Storie e disegni, a volte, di qualità criticabile, ma sempre e soltanto eseguiti a mano.
L'Italia è un paese sensibile alle false problematiche. Se qualcuno ruba, uccide, si collude con criminali a noi va bene, ma se qualcuno solleva uno scrupolo di morale su un programma televisivo allora si va alla crociata, alla guerra santa. I templari del nuovo ordine riescono, perciò, pian piano ed in silenzio ad eliminare i cartoni animati dalle reti pubbliche. I personaggi sfrattati trovano, a loro dispetto, ospitalità nella selva di reti private, sopratutto in Lombardia, pronte ad accoglierli, fiutando l'affare economico. L'investimento resta basso, la pubblicità è forte e gratuita, si innesta un meccanismo per il quale le sigle originali di ogni anime vengono ritenute inadatte (in quanto in giapponese) e si offre lavoro a musicisti e parolieri per crearne di nuove e farle cantare a Cristina D'Avena. I soldi iniziano a girare, ma quando il popolo degli anime sembra essere soddisfatto ecco affiorare la vera censura. Intere sequenze vengono sforbiciate dalle opere. Tagliate. Censurate. Mutilate. Il prodotto del genio giapponese viene reso incomprensibile al pubblico italiano. Episodi di 22/26 minuti vengono ridotti a 12/13, subendo il massacro. Quando non è possibile censurare visivamente si opera a livello più fine ed impegnativo. Si modifica l'adattamento, si riscrivono i dialoghi. Tanto che vuoi che se ne accorga. Perché?
Il fattore discriminante è semplice. In Giappone l'animazione non è un prodotto per bambini. In Giappone vengono creati diversi tipi di anime, destinati ciascuno ad un pubblico diverso, destinati ad essere programmati in orari diversi. Una sommaria suddivisione delle fasce di pubblico potrebbe essere così schematizzata: Kodomo (bambini fino ai 10 anni), Shōjo (ragazze dai 10 anni ai 18 anni), Shōnen (ragazzi dai 10 anni ai 18 anni), Seinen (indicato per un pubblico maschile dai 18 anni in su), Josei (o Rēdisu, indicato per un pubblico femminile dai 18 anni in su). Partendo da questo assunto, in orari diversi, potevamo trovare sullo stesso canale televisivo giapponese Barbapapà e Ken il Guerriero, ma ad orari decisamente diversi. Questo concetto era sconosciuto, più o meno volutamente, a chi importava nel nostro Paese l'intrattenimento disegnato. Una volta accortisi di quello che avevano per le mani gli addetti al doppiaggio dovevano prendere una decisione. La scelta era tra l'essere fedeli all'opera (e prendersi gli strali dai bacchettoni del Moige) od adattarlo alla trasmissione in fascia pomeridiana (e vivere tranquilli)? Ovviamente, essendo in Italia, la decisione sulla scelta da prendere non poteva essere più semplice: se c'è da lottare tiriamoci indietro.
Ad oggi la situazione è cambiata. Grazie a noi degli anni 70. Grazie a noi che siamo cresciuti e che abbiamo potuto spostare l'ago della bilancia seppellendo i vecchi che prima comandavano. Adesso noi più consci a ciò che andiamo in contro, noi con un potere economico importante, noi appassionati abbiamo dato vita ad un nuovo mercato. Alcuni di noi ne muovono le fila pubblicando in DVD, creando canali televisivi, pubblicando manga, insomma guadagnandoci, altri di noi spendendo i soldi per supportare il ritorno di alcune nostre vecchie passioni. Il ritorno di anime su supporto per l'home video in edizione originale, sia con l'assenza di censure, sia con la presenza dei dialoghi in lingua originale è nuova linfa per chi è stato usurpato da opere deturpate.
Torniamo un attimo a bomba, però. Il punto forte della crociata contro la bruttezza, la piattezza e la poca fantasia degli anime era il confronto di questo prodotto con i film Disney. Vorrei che mi prestaste un attimo di attenzione: FILM Disney. Stiamo parlando di prodotti destinati allo schermo cinematografico. Prodotti realizzati dalla più grande, famosa, ricca, influente casa cinematografica d'animazione degli Stati Uniti e del mondo. Stiamo confrontando un film che richiede anni ed anni di lavorazione per raggiungere la perfezione con una serie televisiva le cui prime puntate venivano trasmesse sul suolo natale ancora prima che i disegni di tutta la serie fossero completati. Paragoniamo un prodotto di "alta boutique" con un prodotto "da battaglia". Nel 1963, quando Tezuka proponeva in tv l'alba dell'anime con Astro Boy, la Disney usciva al cinema con "La spada nella roccia". Quando Nagai Go, nel 1975, dava vita a Goldrake, due anni prima la Disney aveva proiettato Robin Hood. Ogni film d'animazione dell'epoca distava per la Disney da un minimo di 1 fino ad un massimo di 4 anni dal successivo, alternando produzioni per ammortizzare i costi del personale a dei capolavori.
Volendo fare un ragionamento sincero, schietto ed obiettivo riferito agli anni della polemica e della censura possiamo porre a confronto gli anni ottanta della Disney (operativa dal 1937) e di una neonata casa di produzione di film d'animazione per il grande schermo come lo "Studio Ghibli" di Hayao Miyazaki (fondata nel 1985).La scelta di prendere a modello questo studio è ovvia poiché il suo fondatore è stato più volte definito il Disney del Sol Levante. Ma veniamo al breve paragone:
1986: Basil, L'Investigatopo (The Great Mouse Detective) Vs "Laputa: castello nel cielo";
1988: Oliver & Company Vs "Una tomba per le lucciole"e "Il mio vicino Totoro" (il secondo è un capolavoro assoluto);
1989: La Sirenetta Vs Kiki consegne a domicilio;
ci fermiamo qui. Teniamo conto dei diversi budget di una grande major in confronto ad uno studio artigianale come il Ghibli. Ci sentiamo davvero di dire che i prodotti giapponesi in questione sono di scarsa qualità? Ci sentiamo davvero di sostenere che sono tutti uguali tra loro? Persistiamo nell'additarli di violenza e di diseducatività? Abbiamo mai visto le opere nipponiche citate per poterle criticare?
Teniamo altresì presente che il primo film d'animazione giapponese proiettato, anche se per poco tempo, nella italiche sale cinematografiche è stato, il difficile, ma strepitoso, capolavoro di un maestro come Otomo Katsuhiro a metà degli anni '90, Akira (del 1988). Per vederne altri bisognerà aspettare le opere di Kon Satoshi, Tokyo Godfather, o quelle recenti dello stesso Miyazaki, Il Castello errante di Holw, Ponyo, Totoro (del 1988 uscito in Italia al cinema nel 2010).
Ci sentiamo di sostenere che le serie televisive d'animazione della Disney prodotte oggi sono di tanto superiori in tematiche e qualità a quelle giapponesi degli anni '80 e '90? Qualcuno di voi che legge questo post saprebbe citarmene almeno tre senza ravanare nell'Internet?
Siamo sicuri che il Moige degli anni '80 avesse ragione a perpetuare la sua crociata? Quanti bambini si sono buttati dalla finestra gridando "Miwa lanciami i componenti"? Di più o di meno di quelli che negli anni '50 legavano corde ai balconi per giocare a Tarzan? Siamo sicuri che i bambini di allora non avessero spirito critico nelle loro scelte? Io stesso, da bimbo, saturo dello schema dei cartoni robotici, divenutomi monotono, avevo scelto di evitarli e di dedicarmi ad altri generi.
Siamo sicuri che i cartoni giapponesi ci abbiano fatto del male? Quanti di noi si sono sentiti scossi dentro per un Paese stravolto da una catastrofe naturale e la conseguente crisi dell'atomo che lo sta sconvolgendo dall'Aprile del 2011? Come mai tanti trentenni, e quarantenni, di oggi si sentono così vicini, solidali, con un Paese che dista più di 10000 km, molti di loro senza esserci mai stati? Quanto di più conosciamo delle tradizioni del Paese del Sol Levante grazie alle storie che ci ha raccontato Ikkyu san, il piccolo bonzo? Quanto della vita quotidiana grazie agli spaccati sociali intensi visti in Maison Ikkoku? Quanto della mitologia nipponica grazie ai simpatici interludi di Ranma 1/2? Quanto di più conosciamo sulla nostra stessa storia e mitologia occidentale grazie a Lady Oscar ed I cavalieri dello zodiaco? Quanto della cultura del sacrificio e della collettività, del lavoro di squadra è entrato in noi grazie agli insegnamenti che abbiamo ricevuto grazie a disegni animati?
Io non posso che dire grazie al Giappone per avermi fatto crescere con miti difformi dai classici europei. Non posso dire che grazie agli uomini e le donne che ho incontrato nei miei viaggi in quel Paese dell'estremo oriente così magico e misterioso. Non posso che dire grazie agli anime per avermi fatto venire voglia di conoscere il diverso, aver sviluppato la mia curiosità e la mia cultura. Grazie a grandi uomini d un grande Paese, con i suoi lati oscuri come tutti (come non criticare la caccia alle balene?) per avermi dato lo spunto per studiare una lingua strana e meravigliosa (di cui ogni volta che torno a casa mi dimentico gran parte del vocabolario).
Non disprezziamo ciò che diverso dal nostro conosciuto solo perché non lo capiamo. Proviamo a calarci in panni che non sono nostri, al massimo ciò che vediamo ci può non piacere. Non impediamo agli altri di crescere solo perché siamo pigri a vincere la nostra ignoranza. Il giorno vorremo castrare la libertà di espressione altrui sarà il giorno stesso in cui non avremo più senso di esistere su questo mondo e faremo meglio a toglierci di mezzo. Fisicamente.

Io posso ripetere solo una parola a tutti gli uomini di genio, o meno, che mi hanno aiutato a crescere: Grazie.
Lo stesso grazie che devo alla mia famiglia, a partire da mia nonna con la quale stavo i pomeriggi e non mi vietava i cartoni anche se non le piacevano. Lo stesso grazie ai miei genitori che hanno avuto fiducia del mio spirito critico anche da bambino e che mi facevano alternare il nipponico Goldrake agli americani Puffi, anche se trasmessi alle 20.

Un ultimo avvertimento. Attenti alla Luna in cielo. Quando sarà rossa Vega attaccherà.

E ora scusate, ma c'è una finestra aperta. Vedo il Big Shooter passare. Un mostro Aniwa sta attaccando la città. Mi devo lanciare per trasformarmi in: "Jeeg Robot d'acciaio!!!!". "Miwa lanciami i componenti!".

giovedì 28 aprile 2011

Dark Reign

Dopo la Secret Invasion e grazie alla direzione che ha preso la sua conclusione Norman Osborn, il Goblin, è diventato eroe nazionale ed è stato messo al comando della H.A.M.M.E.R. dal Presidente degli Stati Uniti, chiudendo di fatto lo S.H.I.E.L.D. e la carriera di Iron Man, Tony Stark.
Ora, però, deve chiudere alcuni conti in sospeso che ha con i supereroi con cui ha avuto a che fare in passato.
L'informazione per sconfiggere la regina Skrull gli è giunta per errore da Deadpool. Incarica allora lo Squalo Tigre per eliminarlo. Deadpool esce con le ossa rotte, per quanto lo possano essere per lui che ha un fattore rigenerativo paragonabile a quello di Wolferine, da una missione affidatagli da un vecchio commilitone per ritrovare sua moglie. Si ritrova in un castello circondato da zombie creati dalla chirurgia estetica che non vorrebbero far altro che mangiarlo. Sperando di averla scampata si ritrova faccia a faccia con Squalo Tigre, i suoi denti ed il suo armamentario.
Altra avversaria tignosa per Norman Osborn è Miss Marvel. Gli effetti dell'ultima battaglia con gli Skrull ancora riverberano sui suoi poteri. Se ne approfitta troppo rischia di esserne assorbita lei stessa. Data la situazione si dedica ad un lavoro di spionaggio ed infiltrazione nei suoi panni civili come Carol Danvers. L'indagine la porta ad indagare sulla strage del culto di Capitan Marvel. Osborn le scaglia contro un uomo sottoposto ad uno speciale trattamento che lo rende praticamente immortale. Carol, Ms. Marvel, dovrà ricorrere a tutti i suoi poteri per sventare la minaccia che incombe su di lei ed i suoi amici.
La Pantera Nera è caduta in un'imboscata. Adesso il re T'Challa è tra la vita e la morte e solo l'intervento di sua moglie Ororo, Tempesta degli X-Men, potrebbe risvegliarlo da coma. La situazione si fa pressante quando il risveglio di una creatura creduta sopita da secoli minaccia l'esistenza stessa del regno di Wakanda, patria della Pantera Nera. Con la Pantera Nera fuori combattimento un'altra dovrebbe prendere il suo posto, ma nessuno sembra esserne all'altezza. Inoltre il dio Pantera cassa l'unico candidato credibile. Nonostante tutto appare una Pantera Nera femminile che si impegna per combattere il potente avversario.

Queste sono le storie raccolte nel primo balenottero della Panini dedicato alla convergenza delle storie Marvel del ciclo: Panini Monster Dark Reign vol 1.
Troviamo tre personaggi dei quali non ho mai letto praticamente nulla.
Deadpool. Prende le parti spiritose dell'Uomo Ragno, le mischia con alcuni poteri di Wolferine e da vita a storie surreali. Tutto sommato un personaggio di cui l'esistenza poteva essere tranquillamente ignorata.
Ms. Marvel. Carol Danvers ha ricevuto i suoi poteri direttamente dall'alieno Mar'Vel il cui culto che predica la pace è lo stesso del quale i seguaci vengono sterminati nella storia. Assume un senso il tutto grazie al finale.
Pantera Nera. Non è un gran personaggio, ma vi vengono raffigurate l'orgoglio di una piccola nazione ed il suo attaccamento alle tradizioni. La storia si dipana tra misticismo e combattimenti.
Il filo conduttore di tutta la saga sarà Norman Osborn che deve trovare il modo di sterminare i suoi avversari storici con il potere che ha accumulato.
Sia i disegni che le storie sono di buon livello. Ci si può avvicinare tranquillamente a nuovi personaggi senza conoscerne il passato ed apprezzarli, o disprezzarli, per quello che sono senza timore.
Sinceramente, non essendo ancora in possesso di tutti e tre i volumi della saga dato il loro prezzo, non so se nei balenotteri sono stati raccolti tutti, ma proprio tutti, i volumi che hanno segnato l'arco narrativo di Dark Reign. Infatti, questa linea narrativa non è stata un evento all'interno del mondo Marvel, ma proprio un filo conduttore che ha modificato le vite e le esistenze di molti dei personaggi dell'universo dei comics americani della casa delle idee.

Il primo volume è una piacevole lettura. Si conoscono personaggi nuovi, si assiste a buoni disegni e dialoghi interessati. Ci si scontra, sopratutto, con i diversi stili narrativi delle singole testate raccolte.

Appassionatevi a supereroi americani e questa saga la dovrete leggere per forza.

17x26, B., 294 pp., col. Il volume contiene “Deadpool (vol. 3) 4/7”, “Ms. Marvel (vol. 2) 35/37” e “Black Panther (vol. 4) 1/6”. 25€

ATTENZIONE: se avete intenzione di acquistare storie Marvel tenete d'occhio le edicole ed il Corriere della Sera o La Gazzetta dello Sport. Con il 9 Maggio 2011 inizia la pubblicazione di una nuova collana dedicata ai "Supereroi - Le Leggende Marvel". Il primo numero sarà Secret Invasion. Seguiranno:
2) Thor – Il cerchio si chiude;
3) Spider-Man – Nuovi modi per morire;
4) X-Men – Ghost box;
5) Capitan America – Rinato.
Quindi occhio alle uscite, piantonate le edicole e non fatevi sfuggire le storie che vi interessano.

mercoledì 27 aprile 2011

American Dreamz

Lo show che tutti amano. Lo show a cui tutti vorrebbero partecipare. Lo show che domina gli ascolti negli Stati Uniti da diversi anni. Questo show è American Dreamz, il reality che si prodiga per scoprire nuovi talenti musicali in tutti gli strati della società americana. Il suo cinico conduttore, Martin Tweed, però, non ne può più. Vorrebbe uscire dal programma, ma a testa altra. Per la nuova edizione sceglie tre cavalli sui quali puntare: un rapper ebreo, una barbie cantante del Sud e un rifugiato iracheno. Ciascuno di loro con un storia alle spalle. Il primo vuole rivoluzionare la sua confraternita, la seconda è una cinica e spietata arrivista disposta a tutti, il terzo è stato mandato dall'Iraq negli USA come terrorista dormiente.
I sogni di tutti e tre si scontrano nella finale alla quale assisterà il Presidente degli Stati Uniti. L'occasione perfetta per Omer, l'iracheno, per martirizzarsi facendosi esplodere ed uccidendo il Presidente.

Una satira aggressiva al mondo dello show business generato dal programma, realmente esistente, American Idol ed all'amministrazione Bush. Le due argomentazioni si fondono per dare vita ad una commedia senza troppi alti ne bassi nella quale il cast stupisce per la sua importanza e per la limitatezza con la quale si esprime. Troviamo insieme sullo schermo tre attori importanti del calibro di Dennis Quaid, Willem Dafoe e Hugh Grant, tutti decisamente sottotono rispetto alle prestazioni a cui siamo abituati. A dividere la scena con loro la cantante teen ager Mandy Moore e Sam Golzari nei panni dell'impedito terrorista.
Il film scorre tra qualche trovata simpatica ed una piattezza laconica.

Tutto sommato qualche sorriso lo strappa, ma non è che sia proprio indispensabile vederlo.

Titolo originale American Dreamz
Lingua originale Inglese
Paese USA
Anno 2006
Durata 107 min

Genere Commedia
Soggetto e Regia Paul Weitz
Produttore Paul Weitz, Rodney Liber, Andrew Miano
Fotografia Robert Elswit
Montaggio Myron Kerstein
Musiche Rick Garcia (Trail of Love), Stephen Trask
Scenografia William Arnold
Costumi Molly Maginnis
Trucco Simone Almekias-Siegl

Interpreti e personaggi
Hugh Grant: Martin Tweed
Dennis Quaid: Presidente Staton
Mandy Moore: Sally Kendoo
Willem Dafoe: Consigliere del presidente
Marcia Gay: Harden First Lady
Chris Klein: William Williams
Jennifer Coolidge: Martha Kendoo
Sam Golzari: Omer

martedì 26 aprile 2011

La Horde

Visto che ieri è stata giornata di magra per i post, oggi pubblico di prima mattina, per consolare coloro di voi che sono già al lavoro. Non preoccupatevi, come potete intuire già dal titolo, è qualcosa di tranquillo.

La morte di un poliziotto durante un'infiltrazione scatena la vendetta dei suoi colleghi. Il gruppo, di cui fa parte anche la collega fidanzata incinta della vittima, si introduce nottetempo nel palazzo, fatiscente ed in rovina, alla periferia di Parigi dove ha il covo la banda di criminali.
Il blitz non va nel modo sperato e dopo che uno di loro è stato ferito vengono catturati. Durante l'interrogatorio un poliziotto viene ucciso, ma non c'è il tempo di piangerlo. Un'orda di zombie affamati circonda il palazzo, entra e da il via ad una carneficina. La via per la salvezza di snoda dal tetto alle cantine del palazzo dove il gruppo, composto da tre criminali, due poliziotti e un inquilino veterano di guerra, si prodiga per cercare una via d'uscita e salvare la pelle.

Lo spunto che Romero da nei suoi film, ossia che tutti il mondo verrà invasa da famelici non morti, è qui raccolto.
Il regista francese ha il meriti di fare qualcosa che in Europa raramente si vede: osare. Osa sperimentare un film di genere zombie ambientandolo nella periferia parigina, sottraendolo al quasi monopolio americano, impiantandolo in una storia classica, ma avvincente.
Il make up dei non morti è realizzato con sapienza e cura, buone musiche d'atmosfera sottolineano i momenti salienti e la trama scorre.
Gli attori recitano in francese. Nel senso che le loro espressioni sono quelle tipiche del cinema francese, con le facce tese dopo una battuta, i vis a vis intensi e i movimenti abbastanza rigidi. Colui che mi ha convinto di più è stato Eriq Ebouaney, seguito dallo pseudo protagonista Jean-Pierre Martins e dai capezzoli di Claude Perron, che per tutto il film tentano di bucarle la canottiera. In eccessiva trance Yves Pignot, nei panni dell'anziano reduce ammazza zombie.

Anche se i cugini d'oltralpe, in molti momenti, non sono il massimo della simpatia verso noi italiani bisogna riconoscere che in questo film hanno fatto un buon lavoro. Speriamo che non rimanga un esperimento isolato come lo è stato Nirvana di Salvatores per il cinema italiano.

Titolo originale La Horde
Lingua originale francese, ceco
Paese Francia
Anno 2009
Durata 90 min

Genere azione, horror, thriller
Regia Yannick Dahan, Benjamin Rocher
Sceneggiatura Arnaud Bordas, Yannick Dahan, Stéphane Moïssakis, Benjamin Rocher, Nicolas Peufaillit (consulente al copione)
Produttore Raphaël Rocher
Casa di produzione Capture (The Flag) Films, Le Pacte, Coficup, Un Fonds Backups Films, Canal+, CinéCinéma
Distribuzione (Italia) Fandango
Fotografia Julien Meurice
Montaggio Dimitri Amar
Musiche Christopher Lennertz, Stéphane Moïssakis, Benjamin Rocher
Scenografia Jérémie Streliski
Costumi Priscillia Van Sprengel

Interpreti e personaggi
Claude Perron: Aurore
Jean-Pierre Martins: Ouessem
Eriq Ebouaney: Adewale
Aurélien Recoing: Jimenez
Doudou Masta: Bola
Antoine Oppenheim: Tony
Jo Prestia: José
Yves Pignot: René
Adam Pengsawang: il ceco
Sébastien Peres: Séb
Laurent Demianoff: Kim

Doppiatori italiani
Laura Boccanera: Aurore
Pasquale Anselmo: Ouessem
Mario Bombardieri: Adewale
Diego Reggente: Jimenez
Dante Biagioni: René

Premi
Fantasporto: 2 International Fantasy Film Award per la miglior sceneggiatura e per la miglior fotografia
Premio della giuria Sci-fi al Festival internazionale del film fantastico di Gérardmer

venerdì 22 aprile 2011

Brendon - Il mistero dell'acqua

Brendon n. 78, bimestrale
Il mistero dell'acqua

Soggetto e sceneggiatura: Claudio Chiaverotti
Disegni: Lola Airaghi
Copertina: Massimo Rotundo

Un incidente durante una traversata in carovana di territori deserti causa una misteriosa catalessi nelle persone sul convoglio. L'unica soluzione alla loro situazione sembra essere l'acqua che sgorga da una fonte misteriosa. Brendon viene incaricato di andare ad attingerne un po', ma sulla strada del ritorno viene rapinato e si trova coinvolto in una misteriosa serie di omicidi nella città di Gatlin. Caspar ed il suo inquietante amico Funnyface sono sospettati di quello che succede. Brendon dovrà ritrovare la borraccia con l'Acqua di Luce per salvare le vite, ci riuscirà?

Chiaverotti continua a scrivere ininterrottamente tutti i numeri della serie e tutti gli speciali. Questo è si un bene, ma, a volte, si può tradurre in un limite. Bisogna ammettere che lo snodarsi della trama è originale ed il triplo colpo di scena nelle 10 pagine del finale è interessante, ma il come ci si giunge è un po' troppo macchinoso e rallentato.
Il disegni di Lola Airaghi non sembrano essere all'altezza dello standard della serie. Come l'Ongaro di questo mese su Martin Mystère anche lei sembra dedicare l'attenzione e la precisione dei suoi disegni ai personaggi in primo piano tralasciando un po' il resto. Da apprezzare come inserisce dettagli sullo sfondo che risaltano solo ad uno sguardo attento.

Sinceramente non uno dei numeri indimenticabili della serie, ma in attesa, nel prossimo quadrimestre, della storia doppia disegnata da Corrado Roi è un giusto antipasto.

giovedì 21 aprile 2011

Nathan Never - I pretoriani

Nathan Never n. 239, mensile
I pretoriani

Soggetto e sceneggiatura: Bepi Vigna
Disegni: Germano Bonazzi
Copertina: Roberto De Angelis

La Terra sta cercando di risolvere definitivamente i problemi causati dalla caduta di Urania e l'assassinio del presidente della più importante società edile della Città non sembra aiutare ad andare in questa direzione. La svolta arriva grazie alla Imperium Enterprise impresa in ascesa costante dal giorno della sua fondazione su Marte. Il suo proprietario, Atticus Kane, nativo marziano, cittadino terrestre e sposato di fresco con una stella del cinema, è riuscito ad assicurarsi quasi tutti gli appalti. Qualche sospetto sulla possibile irregolarità delle gare viene ad un giovane procuratore distrettuale che assume l'Agenzia Alfa per indagare. Qualche sospetto di irregolarità, non supportato, da prove evidenti viene a galla. L'agenzia sta per abbandonare il caso quando il procuratore cade vittima di un misterioso incidente stradale. L'investigazione procede, incontrando molti rallentamenti politici.
Intanto su Marte Scipio diventa il numero uno dei Pretoriani e nel suo discorso di insediamento da voce ai mugugni della maggior parte dei marziani. E' giunto il momento di espandersi ed annettere sotto il controllo del pianeta rosso le stazioni orbitali e la Terra.

E' la prima storia che getta le basi per la saga della Guerra dei Mondi, arco narrativo che coprirà almeno un anno di pubblicazioni della testata. Ce l'hanno menata per tanto tempo ed è cominciata. Finalmente. Abbiamo sopportato storie inutili, svogliate e, ancor peggio, buttate li per dare agli autori la possibilità di lavorare con tranquillità a 15/16 storie rivoluzionarie ed innovative che potranno cambiare il corso di una collana quasi ventennale.
Come autore per dare il via a tutto, per gettare le basi, le fondamenta della narrazione si è scelto Bepi Vigna, uno dei tre sardi che nel 1991 ha dato vita a Nathan Never. La storia è scritta bene, scorre , informa, mette li tanti indizi ed un po' di carne al fuoco. Per ora il fatto che le prime dieci pagine siano scontate, che gli intrallazzi di potere siano ovvi e che il gossip del secolo sia di facciata ce lo si lascia alle spalle senza troppi problemi, ma potrebbe tornare ad essere un'arma di critica col passare dei mesi. L'evidenza di voler mettere in difficoltà, isolare, l'Agenzia Alfa è tale da far ben sperare e, ancora meglio, mette a disagio il lettore che non sa se credere che avverranno evoluzioni epocali o non sperarlo per non rimanere deluso.
Dello stile di Bonazzi non si può che parlare bene ed apprezzarlo. Forme, dettagli, mecha, ritmo tutto curato come al solito. Non delude mai.

Buona la prima, con riserva che deriva dall'ultimo anno e mezzo di esperienza.

mercoledì 20 aprile 2011

Nirvana

Ormai si è capito, anche ieri, un altro martedì, ho tradito il blog per un piatto di pasta. Ebbene si, la cena a casa di amici mi ha fatto arrivare a casa troppo tardi per essere in grado di attaccarmi al Mac e scrivere. Rimediamo ora con questo cult degli anni 90 del secolo scorso.

In un futuro non troppo lontano l'umanità si è evoluta in peggio. Gli esseri umani vivono agglomerati distinti per livelli e pochi di loro possono ancora vedere il cielo. Cielo che peraltro lascia cadere neve in continuazione. Nell'agglomerato del Nord Jimi Dini, programmatore della Okosama Star, sta verificando le ultime funzionalità dell'ultimo videogioco da lui creato, a tre giorni dall'uscita sul mercato. Nirvana, questo il nome del gioco, viene, però, infettata da un virus. Grazie a questa anomali il protagonista del videogioco, Solo, prende coscienza di se stesso e della sua condizione. In un sessione di gioco entra in contatto con il suo creatore e lo convince a distruggere la sua realtà di finzione.
Jimi, convinto dalla sua creatura, si imbarca nella missione per la cancellazione del programma depositato nei sistemi della Okosama Star, ma per riuscire deve trovare due compagni di viaggio: un programmatore ed un angelo che lo aiutino a forzare le misure di sicurezza della multinazionale. L'hacker lo trova in Joystick, un furfante con delle microcamere al posto degli occhi che sembra approfittarsi della disponibilità sua economica per sistemare alcuni suoi vecchi debiti, mentre l'angelo è Naima, ragazza dei capelli blu la cui memoria si limita ai ricordi da un anno prima all'oggi.
La sua ricerca lo porta a visitare aree della città pericolose ed a ritrovarsi sulle tracce della donna che lui amava e che l'aveva abbandonato un anno prima: Lisa.
I tre riescono a trovare un luogo sicuro ed addentrarsi nei meandri dei sistemi informatici della Okosama Star, anche se sulle loro tracce si sono messi, sia nella vita reale che nella rete, sgherri e antivirus della multinazionale

Un esperimento, uno dei pochi del cinema italiano, che non si è più stranamente ripetuto dal 1997 ad oggi. Un'incursione decisa ed originale nel mondo della fantascienza di uno dei più quotati registi italiani, uno dei pochi a vincere l'Oscar, Gabriele Salvatores. Il regista, autore anche della storia originale, riesce a mettere insieme un cast di alto livello pescando ne cinema internazionale e da caratteristi italiani. Protagonista è Chirstopher Lambert, in uno dei suoi ultimi lavori degni di nota, alla ricerca della sua amata, Emmanuelle Seigner, ed accompagnato da Sergio Rubini e Stefania Rocca. Nella realtà parallela, invece, la storia gira intorno a Diego Abatantuono e Amanda Sandrelli. Tra i due mondi si alternano caratteristi di rilievo come Claudio Bisio, Silvio Orlando, Paolo Rossi, Bebo Storti, Valerio Staffelli e Antonio Catania, senza dimenticare la Dea Kali dei manifesti che, impensabilmente, è Luisa Corna.
Il gigantesco set cinematografico nel quale il film è stato, quasi interamente, girato era il vecchio stabilimento dell'Alfa Romeo sita nel quartiere Portello di Milano, ormai da anni abbattuto per lasciare spazio a residenze (da 6000€ al metro quadro), un centro commerciale ed un parco.
Innumerevoli sono le citazione con le quali il regista ringrazia le sue fonti di ispirazione: si parte da Blade Runner per arrivare a Strange Days. Di contro possiamo trovare citazioni ed ispirazioni tratte a piene mani da Nirvana da parte dei fratelli Wachowski nel realizzazione del loro capolavoro cinematografico: la saga di Matrix. Anche Cronenberg, forse, ne trae qualche idea per evolvere in Existenz vecchi concetti che aveva espresso in Videodrome.

Effetti speciali di livello, un trama coinvolgente, una regia sapiente, rendono questa mosca bianca del cinema nazionale meritevole di attenzione anche a distanza di così tanti anni. Se vi capita procuratevi il Blue Ray od il DVD che ne vale la pena.

Paese Italia
Anno 1997
Durata 111 min

Genere fantascienza, drammatico
Soggetto e Regia Gabriele Salvatores
Sceneggiatura Pino Cacucci, Gloria Corica, Gabriele Salvatores
Fotografia Italo Petriccione
Montaggio Massimo Fiocchi
Effetti speciali Victor Togliani,
Musiche Federico De Robertis, Mauro Pagani
Scenografia Giancarlo Basili

Interpreti e personaggi
Christopher Lambert: Jimi Dini
Diego Abatantuono: Solo
Stefania Rocca: Naima
Emmanuelle Seigner: Lisa
Gigio Alberti: Ratzemberger
Claudio Bisio: Corvo Rosso
Antonio Catania: Venditore
Silvio Orlando: Portiere indiano
Paolo Rossi: Joker
Sergio Rubini: Joystick
Amanda Sandrelli: Maria

Premi
David di Donatello 1997: miglior sonoro in presa diretta

lunedì 18 aprile 2011

The Social Network

Erica Albright è il perché è nato Facebook.
Mark Zuckerberg, dotato dell'arroganza inconscia propria dei geni, viene mollato dalla sua ragazza, Erica, appunto, e non riesce a farsene una ragione. Il martedì sera del fattaccio rientra nel suo alloggio dalla Harvard Univeristy e si mette a fare ciò che sa fare meglio: programmazione informatica. Dopo aver postato le impressioni sulla serata, e qualche spiacevole commento sulla sua ormai ex, sul suo blog si dedica alla costruzione di un sito, Facesmash, che dia la possibilità di mettere a confronto centinaia di ragazze di diverse università e votare la più carina. Il suo progetto richiede la violazione della sicurezza delle reti universitarie, il download e l'impaginazione automatica delle foto, il tutto da ubriaco ed in meno di una notte. Il nuovo sito è un successo: 22000 contatti in una notte, giusto prima che la rete di Harvard collassi.
Il progetto di Mark lo rende famigerato. Viene obbligato a scusarsi sui giornali scolastici, convocato dal consiglio di Harvard e condannato a sei mesi di lavori socialmente utili.
La sua bravata lo porta all'attenzione di un gruppo di studenti più grandi, Cameron e Tyler Winklevoss, che gli propongono di realizzare la programmazione di un sito di incontri esclusivo per i ragazzi della facoltà.
Mark prende l'idea, prende tempo, si fa finanziare dal suo migliore ed unico amico Eduardo Saverin e crea in 40 giorni The Facebook.
Il sito è un successo. Si espande ad altre università e grazie all'incontro con Sean Parker, il creatore di Napster, in due continenti diventando il capillare: Facebook.

La vicenda è narrata da due tavoli di contrattazione legale differenti. Il primo è quello in cui i fratelli Winklevoss chiedono, ed otterranno, un risarcimento da Zuckerberg per aver usato una loro idea rubandogliela. Il secondo è quello in cui Eduardo Saverin, cofondatore e direttore finanziario di The Facebook prima e Facebook dopo, chiede, e lo otterrà, un risarcimento per essere stato fatto fuori dalla creatura in modo arbitrario.
Il film è un documentario in cui giovani e bravi attore come Eisenberg, visto in Welcome to Zombieland e Scott Pilgrim Vs the world, Garfield, futuro Spiderman, e l'ex cantante Timberlake danno vita a personaggi che hanno cambiato il mondo alla gente comune.
Fincher realizza la sua biografia utilizzando uno stile simile a quello impiegato da Stone per realizzare Alexandros. Non esalta la figura del protagonista inutilmente, ma la foraggia con i meriti che il genio acquisisce nel tempo contrapponendole i demeriti e le debolezze che caratterizzano l'uomo.
Ne risulta uno Zuckerberg ingenuo, genialmente arrogante, al quale i soldi poco interessano, ma sopratutto bisognoso di affetto dalle persone che lo circondano. In fondo il suo cruccio più grande è quello di aver perso la ragazza a cui teneva e non essere riuscito a riconquistarla neanche diventato il più giovane multimiliardario del mondo.
Uno script importante, pluripremiato, tratto da un libro in cui l'unica fonte diretta è stata la testimonianza di Saverin, sottolineato da una colonna sonora azzeccata accompagna il tutto.

Un buon film, giustamente non da Oscar, veloce, godibile, intenso. Le due ore di cui si compone sono la giusta durata per questa pellicola ricca di dialoghi, molti specifici per nerd, interessanti e che mai annoiano.

Se usate Facebook vedetelo, se non lo usate vedetelo per cercare di capire perché i vostri amici lo usano.

Titolo originale The Social Network
Lingua originale inglese
Paese Stati Uniti
Anno 2010
Durata 121 min

Genere documentario drammatico
Regia David Fincher
Soggetto Ben Mezrich
Sceneggiatura Aaron Sorkin
Produttore Dana Brunetti, Ceán Chaffin, Michael De Luca, Scott Rudin
Produttore esecutivo Aaron Sorkin, Kevin Spacey
Casa di produzione Columbia Pictures, Relativity Media
Distribuzione (Italia) Sony Pictures
Fotografia Jeff Cronenweth
Montaggio Kirk Baxter, Angus Wall
Musiche Trent Reznor, Atticus Ross
Scenografia Donald Graham Burt

Interpreti e personaggi
Jesse Eisenberg: Mark Zuckerberg
Andrew Garfield: Eduardo Saverin
Justin Timberlake: Sean Parker
Brenda Song: Christy Lee
Rashida Jones: Marylin Delpy
Joseph Mazzello: Dustin Moskovitz
Max Minghella: Martin Turner
Rooney Mara: Erica Albright
Armie Hammer: Cameron/Tyler Winklevoss

Doppiatori italiani
Davide Perino: Jesse Eisenberg
Lorenzo de Angelis: Andrew Garfield
Gabriele Lopez: Justin Timberlake
Simone Veltroni: Joseph Mazzello
Gianfranco Miranda: Max Minghella
Chiara Gioncardi: Rooney Mara
Marco Vivio: Armie Hammer

Premi
3 Premi Oscar 2011: Miglior sceneggiatura non originale, Miglior montaggio, Migliore colonna sonora
4 Golden Globe 2011: miglior film drammatico, miglior regista, miglior sceneggiatura, migliore colonna sonora originale
4 National Board of Review Awards 2010: miglior film, miglior regista, miglior attore (Jesse Eisenberg) e miglior sceneggiatura non originale
3 Premi BAFTA 2011 miglior regista, miglior sceneggiatura non originale, miglior montaggio
3 Satellite Awards 2010: miglior film drammatico, miglior regista, miglior sceneggiatura non originale
Writers Guild of America Award: miglior sceneggiatura non originale (Aaron Sorkin)
Premi César 2011: miglior film straniero

venerdì 15 aprile 2011

Martin Mystère - La marea grigia

Martin Mystère n. 314, bimestrale
La marea grigia

Soggetto e sceneggiatura: Luigi Mignacco
Disegni: Paolo Ongaro
Copertina: Giancarlo Alessandrini

Nel 1630 Venezia è sconvolta da un'epidemia di peste che ne ridurrà di un terzo la popolazione. I malati vengono concentrati, destinati a morte quasi certa, nel Lazzaretto.
2011. Venezia. Nel Lazzaretto viene ritrovato il cadavere di un uomo sepolto con tra le mani uno scrigno. Intorno ai suoi resti, dagli archeologi, vengono trovati centinaia di scheletri di topo. In pochi giorni la città viene invasa da orde di ratti che aggrediscono ed uccidono gli esseri umani, tra i quali l'archeologo responsabile dello scavo.
Martin Mystère viene contattato da uno dei giovani studenti del defunto per indagare sulla sparizione dell'oggetto mysterioso contenuto nello scrigno.

Argomento molto interessante quello della peste. Mignacco lo espone in modo coinvolgente, colto e per nulla noioso attraverso la narrazione nel programma televisivo di Martin e le nozioni storiche fornite dagli archeologi. Forse un po' pesante per essere letto tutto in un fiato, ma se goduto come un libro è veramente piacevole ed acculturante.
I disegni sono la parte dolente dell'albo. Se nella rappresentazione delle architetture veneziane si trova una corrispondenza della realtà, anche se non accurata come avrebbe potuto essere, il vero disastro è individuabile dalla scarsa costanza nella raffigurazione dei soggetti. Sia i volti delle figure di contorno che quelli dei protagonisti vengono disegnati in modo diverso in ogni vignetta. L'apotesi dell'imprecisione, però, viene raggiunta in una vignetta di ambientazione storica: nel 1630 lo scienziato veneziano entra nello studio nella sua casa, gli oggetti che si vedono nella prima vignetta non si ritrovano il quella di quattro/cinque inquadrature dopo. La sola nota positiva è l'abile uso dei neri nelle molteplici scene di buio.

Una storia interessante. Piacevole da leggere ed acculturante. Così piacevole da lasciare in secondo piano il limitato standard artistico espresso da Ongaro in questa occasione.

giovedì 14 aprile 2011

After.Life

Anna Taylor è una ragazza insoddisfatta della sua vita. Maestra elementare amata dai suoi alunni, ragazza di un noto avvocato rampante, tuttavia non appagata dei risultati ottenuti. In cerca di continui cambiamenti per soddisfare la sua sete di novità cambia il suo colore di capelli, da castano a ramato, persino il giorno del funerale del suo vecchio maestro di musica, arrivando in ritardo alla funzione.
La sera, a cena in un ristorante di lusso, Paul, il suo ragazzo, sta per farle la proposta di matrimonio prendendola un po' alla larga. Anna non capisce dove vuole andare a parare, si arrabbia e se ne va. Guida nervosa la sua macchina in una sera piovosa. La pressione di un furgoncino, una sbandata e si scontra con un camion.
Muore.
Il suo cadavere viene portato dall'imbalsamatore della cittadina che la deve preparare per la funzione, da li a tre giorni. L'uomo, Elliot, lo stesso che aveva preparato il maestro di musica della ragazza, ha un dono che gli permette di parlare con i defunti. Il suo nuovo ospite cerca di convincere Anna, e di fermare i suoi tentativi di fuga, ad accettare la sua immutabile condizione di defunta. Lei non ne vuole sapere e per tre giorni tenta di convincere lui e se stessa di essere ancora viva.

All'inizio sembra di assistere ad una nuova versione, un po' più macabra, de "Il sesto senso". Durante la visione si capisce che il prodotto è diverso. Si tratta di un horror psicologico di buon livello, costruito a piccoli scalini che portano, i più sgamati degli spettatori, ad intuire la direzione prima delle rivelazioni. Il doppio finale è forse un po' eccessivo, sarebbe bastato il primo, ma ci fa capire come un obiettivo importante possa essere perseguito con costanza in ogni condizione. Affascinante la fotografia, lo maggior parte del film si svolge in un ambiente bianco ed asettico nel quale fanno contrasto dapprima la sottoveste rossa di Anna e poi, per buona parte della pellicola, il corpo nudo di Christina Ricci. Se i personaggi secondari, anche se inquietanti o stupidi, potevano anche non essere presenti, molto si deve alle capacità interpretative dei due protagonisti Liam Neeson e Christina Ricci. Si dividono lo schermo per più di due terzi del film, ognuno con le sue manie e le sue speranze, dando vita (e morte) ad un dualismo credibile. In questi ultimi anni, accanto alle megaproduzioni, abbiamo assistito ad altri tentativi di portare sullo schermo film con un numero minimo di attori. L'estremo è Buried, passando per l'ottimo Hard Candy ed il pessimo Paranormal Activity. Da un minimo di uno ad un massimo di tre attori sullo schermo in pellicole, più o meno, curate e con un risultato finale interessante.
Nel complesso After.life è un film con una trama dal ritmo non proprio agile, ma è il tipo di argomento trattato che lo richiede, supportato da una regia interessante, una buona fotografia, due ottimi attori protagonisti ed un corpo nudo molto interessante.

Piace Liam? Piace Chirstina? L'horror? Allora guardatelo.

Titolo Originale: After.Life
Scritto e Diretto: Agnieszka Wójtowicz-Vosloo
Musica: Paul Haslinger
Studio Lleju Productions, Harbor Light Entertainment, Plum Pictures
Distribuzione Anchor Bay Entertainment
Data di Uscita 7 Novembre 2009
Durata 104 minutes
Nazione Stati Uniti
Produttore Bill Perkins,Brad Michael Gilbert, Celine Rattray
Interpeti principali
Christina Ricci: Anna Taylor
Liam Neeson: Eliot Deacon
Justin Long: Paul Coleman
Celia Weston: Beatrice Taylor
Chandler Canterbury: Jack

mercoledì 13 aprile 2011

Porco Rosso

Aggiornamento la 26.08.2014

Dopo più di tre anni ho rivisto il film. Il clima della grande depressione è veramente bene descritto. In un momento come questo vedere i pacchi di banconote con cui Marco paga Piccolo fa impressione. Ci si rende conto come le guerre fisiche siano state soppiantate da quelle economiche e come i risultati non siano meno deleteri per la popolazione civile.
Appartenere ad una certa fazione che siano i fascisti, all'epoca di Porco, o gli economisti, ai giorni nostri, assicura un solidità che non ha chi è fuori dal sistema. Ovviamente il sacrificio della libertà personale e di pensiero è uno scotto da pagare.
Vedere come Miyazaki abbia usato una figura tanto invisa al buddismo, il maiale, per rappresentare il buono dell'umanità è sempre sorprendentemente piacevole. Con gli anni ho imparato ad apprezzare le piccole chicche che il Maestro ha inserito nella sua opera, anche gli errori nelle scritte italiane e la non-Milano narrativa (che troppo somiglia alle città neo industriali più volte utilizzate nei film dello Studio Ghibli), ma questo continua ed essere uno dei film che meno sento dentro del grande regista giapponese. Nonostante tutto ho anche apprezzato la sua scelta non Disneyana di non spiegare le origini della maledizione che ha colpito Marco Pagot ed il mistero su come sia proseguita la relazione tra lui e Gina. Gina per la quale ho mantenuto una grande stima, sia come personaggio che per ciò che ha rappresentato il suo ruolo in quegli anni.

_________________Post originale_________________

Oh beh, ieri non ci siamo visti. Tra una maratona ad Assassin's Credd Brotherhood ed una cena tra amici non ho acceso il computer per scrivere il post. Spero non vi siate sentiti soli ed abbandonati. Per rimediare ecco qualche riga su Porco Rosso di Hayao Miyazaki.

Marco Pagot sopravvive ad una battaglia aerea durante la prima guerra mondiale mentre tutti i suoi compagni di battaglione perdono la vita. Dopo quello scontro assume, misteriosamente, le sembianze di un porco antropomorfo. Allergico al fascismo, del quale mostra dispregio pubblicamente, si trasferisce tra le isolette dell'Adriatico a vivere come cacciatore di taglie di pirati dell'aria. Lui ed il suo idrovolante rosso sono la minaccia più temuta di quella zona di mare, dai malvagi.
Uno scontro a tradimento con Donald Curtis, pilota di origini americane, lo obbliga a portare, via mare e via terra, il suo idrovolante a Milano per essere riparato. Nella ditta in cui effettua i rattoppi di solito lavora, ora, la nipote americana del proprietario: Fio Piccolo. 17 anni ed un grande ingegno per le macchine volanti, rimette a nuovo quello di Porco. Per via della presenza di spie fasciste intorno alla fabbrica e l'impossibilità di testare le prestazioni dell'aereo Fio si aggrega a Porco e sfuggono all'arresto decollando sui navigli.
Al rientro sull'Adriatico vi sarà la sfida che decreterà il miglior pilota di idrovolanti del Mediterraneo. Vincerà Porco Rosso, il cacciatore di taglie, o Donald Curtis, il pirata dell'aria?

Già nel lontano 1996, anno ci cui vidi per la prima volta Porco Rosso in giapponese, non ne rimasi favorevolmente impressionato. All'uscita nelle sale italiane il Novembre 2010 ho preferito passare la mano, la prima volta che lo faccio con un'opera di Miyazaki, ed ho attesso la pubblicazione in dvd.
La visione del film oggi mi conferma le sensazioni di incompletezza avute anni fa.
Partiamo dai risvolti positivi. L'accuratezza dei disegni, la fluidità dell'animazione, la brillantezza dei colori, la tenerezza espressa, l'ottima e varia colonna sonora, gli studi preparatori per la realizzazione di battaglie credibili ed, infine, l'ottimo doppiaggio italiano.
I negativi: Milano non è Milano, ma una città via di mezzo tra Londra, Parigi e Roma, le troppe domande senza risposta nel corso della pellicola. L'autore ci impone di accettare la maledizione di Porco senza cercare di capire come essa gli è stata inflitta e di non voler indagare sul finale della storia, aperto a supposizioni.
Un film adulto, avanti sui suoi tempi, come sempre per il Maestro, ma non all'altezza di altri suoi titoli.
Su Wikipedia, alla pagina dedicata al film, vengono messi in evidenza riferimenti a citazioni in cui lo spettatore si imbatte durante la visione:
Il nome del protagonista, Marco Pagot, è un omaggio ai fratelli Nino e Toni Pagot, famosi fumettisti italiani, creatori ad esempio del personaggio di Calimero, i cui figli Marco e Gi Pagot hanno collaborato con Miyazaki alla creazione della serie di animazione "Il fiuto di Sherlock Holmes".
Il primo pilota dei due caccia appartenenti alla grande nave da crociera è Francesco Baracca, che è realmente stato un grande aviatore italiano nella prima guerra mondiale a cui sono dedicati aeroclub e strade. Il secondo pilota è Adriano Visconti, asso della seconda guerra mondiale con dieci vittorie al suo attivo.
Un disegno della Mole Antonelliana compare nei titoli di coda.
Uno dei personaggi della storia è un aviatore ex commilitone di Porco Rosso di nome Ferrarin. Un aviatore di nome Arturo Ferrarin è realmente esistito e nel 1920 ha coperto per la prima volta il percorso aereo Roma-Tokyo. Ferrarin ha effettivamente pilotato, nella Coppa Schneider del 1926, l'idrocorsa Macchi M.39 con cui lo si vede in una scena affiancare il velivolo di Porco Rosso.
Quando Porco Rosso ripara il suo aereo lo porta dal costruttore dello stesso, la "Piccolo SPA", il cui titolare gli propone un nuovo motore (un FIAT A.S.2, vincitore della Coppa Schneider del 1926, vinta dall'italiano Mario De Bernardi) sui cui compare la scritta "Ghibli", soprannome del bimotore multiruolo della seconda metà degli anni trenta Caproni Ca.309. Il nome dello studio cinematografico fondato dal regista (Studio Ghibli) è infatti anche un tributo alla passione di Miyazaki per la storia dell'aeronautica.
Un "cameo" dello Studio Ghibli è presente anche durante la fuga in camion dalla polizia fascista in cui, oltre il finestrino del lato guida, si intravede un'insegna di una pensione, la "Pensione Ghibli".
Benché l'iconografia ed il merchandising posteriore al film lo identifichino come SIAI S.21 (citato anche erroneamente come Savoia S.21 o Savoia-Marchetti S.21), Porco Rosso pilota un idrovolante di fantasia ispirato a due velivoli realmente esistiti: il SIAI S.12/S.13 biplano idrovolante da ricognizione/caccia e il Macchi M.33 monoplano idrovolante da competizione. Il SIAI S.21 è, contrariamente a quello protagonista del film, un biplano.
"Mamma aiuto", nome di una delle bande di pirati, è una citazione di Mammaiut, soprannome dell'idrovolante CANT Z.501, diventato poi il grido di reparto del 15o Stormo SAR. Il nome diverrà anche quello del negozio di ricordini all'interno del Museo Ghibli a Mitaka, Tokyo.
Nei tratti fisici dei personaggi dei Pirati si notano caratteristiche che hanno identificato, od identificheranno, altri personaggi dell'animazione. Si va da Lepka di "Conan il ragazzo del futuro" (il pirata con un occhio bendato) all'Uomo delle Caldaie de "La città incantata" (pirata calvo con baffoni e occhialini tondi neri), fino al Bluto di Popeye (capo di "Mamma aiuto").

Se proprio volete perdervi un'opera di Miyazaki questa e Ponyo sono le due che potete trascurare.

Titolo originale �の豚
Kurenai no buta
Lingua originale Giapponese
Paese Giappone
Anno 1992
Durata 93 min
Genere animazione
Regia Soggetto e Sceneggiatura Hayao Miyazaki
Soggetto Hayao Miyazaki, Hikōtei Jidai (manga)
Produttore Toshio Suzuki
Casa di produzione Studio Ghibli
Distribuzione (Italia) Lucky Red
Art director Yoshitsu Hisamura
Animatori Megumi Kagawa, Toshio Kawaguchi
Fotografia Atsushi Okui
Montaggio Hayao Miyazaki
Effetti speciali Kaoji Tanifuji, Setsuko Tamai, Tomoji Hashizume
Musiche Joe Hisaishi, Tokiko Kato (compositore della canzone-tema "Toki ni wa Mukashi no Hanashi o")
Scenografia Katsu Hisamura

Doppiatori originali
Shuichiro Moriyama: Porco Rosso
Akio Otsuka: Donald Curtis
Tokiko Kato: Madame Gina
Tsunehiko Kamijo: Mamma Aiuto Boss
Sanshi Katsura: Mr. Piccolo
Akemi Okamura: Fio Piccolo

Doppiatori italiani
Dialoghi italiani e direzione del doppiaggio: Gualtiero Cannarsi
Massimo Corvo: Porco Rosso
Fabrizio Pucci: Donald Curtis
Roberta Pellini: Madame Gina
Paolo Buglioni: Mamma Aiuto Boss
Massimo De Ambrosis: Ferrarin
Joy Saltarelli: Fio Piccolo
Armando Bandini: Mr. Piccolo
Roberto Draghetti: Boss Francese
Gerolamo Alchieri: Boss Siciliano
Carlo Reali: Boss Austroungarico
1°doppiaggio (versione inedita)

Dialoghi italiani e direzione del doppiaggio: Gualtiero Cannarsi
Francesco Pannofino: Porco Rosso
Fabrizio Pucci: Donald Curtis
Paolo Buglioni: Mamma Aiuto Boss
Massimo De Ambrosis: Ferrarin
Armando Bandini: Mr. Piccolo
Roberto Draghetti: Boss Francese
Enzo Consoli: Boss Siciliano
Carlo Reali: Boss Austroungarico
Versione Cinematografica

Premi
1992 - Ishihara Yujiro Award ai Nikkan Sports Film Awards
1993 - 2 Mainichi Film Concours: "Miglior Film d'Animazione" ad Hayao Miyazaki, "Migliore Colonna Sonora" a Joe Hisaishi

lunedì 11 aprile 2011

Chloe

Catherine Stewart è una ginecologa affermata in quel di Toronto. David, suo marito, è un professore di musica a New York. Hanno un figlio in piena ribellione adolescenziale, Michael. Tutti vivono nella città canadese, l'unico a fare la spola tra casa e lavoro è David. La sera del suo compleanno, però, perde l'aereo che avrebbe dovuto riportarlo a casa per la festa a sorpresa organizzata da sua moglie.
Anche se l'apparenza lascia supporre che il matrimonio tra i due sia saldo, la realtà non è tale. Infatti, la loro relazione è diventata fredda con gli anni, sopratutto dopo la nascita del figlio. David è tanto distaccato e freddo che Catherine teme, addirittura, che lui abbia una relazione extraconiugale. Il tarlo la penetrata tanto da indurla ad assoldare una prostituta che lavora vicino al suo studio pur di scoprirlo. Lei si chiama Chloe, è giovane, bionda e bellissima.
Ingaggiata per sedurre David lo aggancia in un caffè con lo scopo di riferire il tutto a Catherine. La ragazza le racconta della prosecuzione degli incontri e la donna si sente tra lo sconvolto e l'eccitato. Un diverso tipo di relazione inizia ad instaurarsi tra le due. Una relazione che porterà conseguenze sconvolgenti nelle loro vite.

Il film è il remake di una pellicola francese del 2003 dal titolo Nathalie... . Si discosta dall'originale per tre snodi principali: due sono costituiti dal tipo di relazione che Chloe ha con Catherine ed il figlio di lei, l'ultima è il finale. Il tutto permette al tasso di torbidezza della pellicola di crescere in modo vertiginoso.
Girato molto in interni, anche per il tipo di situazioni da rappresentare, con cura e fluidità, ma senza spunti geniali. Liam Neeson è attore coprotagonista in una vicenda che ruota intorno al suo personaggio e le due attrici che gli girano attorno irrompono con la loro bellezza sullo schermo. Julianne Moore oltre ad essere un'attrice versatile e capace (forse Evolution e Chloe sono gli estremi del suo curriculum) è una donna bellissima. I suo capelli rossi e la carnagione chiara ben si amalgamano con il biondo e l'etereo di Amanda Seyfried (anche lei ha fatto un bel salto da Mamma Mia! a questo film). Sullo schermo esprimono in modo convincente i sentimenti che provano i loro due personaggi in tutti i momenti della pellicola. Di contraltare il rapporto dei due coniugi con il figlio è stato trattato in modo superficiale, a ben vedere lo stesso personaggio secondario è superfluo e non aggiunge niente alla trama, forse minutaggio alla pellicola ed un momento indimenticabile per l'attore.
Da punto di vista puramente estetico e maschilista, un merito, ed un plauso, a parte vanno rivolti a chi è riuscito a mettere insieme tali due bellezze femminili ed è riuscito a farle spogliare per questo film. Credo che per la forza delle scene sullo schermo in molte avrebbero, e probabilmente, hanno rifiutato lo script. Loro due sono state coraggiose, per un progetto nel quale credevano.
Il film è passato senza troppi clamori nelle sale cinematografiche ed è ricuperabile in dvd, noleggio e vendita.

Un buon thriller che deve tanto, nella sua tensione, all'erotismo generato dalle protagoniste.

Consigliato.

Titolo originale Chloe
Lingua originale inglese
Paese USA, Canada, Francia
Anno 2009
Durata 96 min

Genere drammatico, thriller, erotico
Regia Atom Egoyan
Soggetto Philip Blasbland, Anne Fontaine, Jacques Fieschi, François-Olivier Rousseau
Sceneggiatura Erin Cressida Wilson
Produttore Ivan Reitman, Joe Medjuck, Jeffrey Clifford
Produttore esecutivo Jason Reitman, Daniel Dubiecki
Casa di produzione Studio Canal, The Montecito Picture Company
Distribuzione (Italia) Eagle Pictures
Costumi Debra Hanson

Interpreti e personaggi
Julianne Moore: Catherine Stewart
Liam Neeson: David Stewart
Amanda Seyfried: Chloe
Max Thieriot: Michael Stewart
R.H. Thomson: Frank
Nina Dobrev: Anna

Doppiatori italiani
Cristina Boraschi: Catherine
Alessandro Rossi: David
Myriam Catania: Chloe
Flavio Aquilone: Michael
Valentina Favazza: Anna

venerdì 8 aprile 2011

Hellraiser

Frank Cotton è un trafficante in resti archeologici. Un giorno, durante in uno dei suoi viaggi esotici, ricetta uno misterioso e maneggevole cubo. Una volta rientrato nella sua villa decadente tenta di manipolarlo ed il suo corpo viene straziato e smembrato.
Tempo dopo il fratello di Frank, Larry, e la sua seconda moglie Kristy decidono di sistemare la vecchia villa di famiglia e di trasferirvisi. La casa nasconde due segreti. Il primo riguarda Kristy: il giorno prima del matrimonio con Larry ha avuto un'intensa relazione con Frank, ma poi si è sposata lo stesso. Il secondo riguarda Frank: scomparso da tempo i resti del suo cadavere sono nascosti all'interno delle pareti della soffitta in cui ha aperto il cubo. Basteranno gocce del sangue di Larry, feritosi durante il trasloco, a farlo risorgere e sfuggire ai Supplizianti che lo hanno ridotto in quello stato. L'amore di Kristy farà il resto; gli porterà a casa delle vittime per completare il suo ritorno in vita. L'unica che sospetterà qualcosa e che, malgrado non ne avesse alcuna intenzione, si troverà di fronte ai Cenobiti Supplizianti per tentare di salvare suo padre sarà Kristy, la figlia del primo matrimonio di Larry.

Siamo nel 1987 ed un promettente scrittore horror, stanco degli adattamenti zoppicanti che i cineasti fanno dei suoi racconti, decide di portare sullo schermo, con l'aiuto di una modesta casa di produzione, una storia e dei personaggi che diverranno cult per generazioni. Negli anni in cui nascono Freddy, Jason, Micheal, come icone orrorifiche e massacratrici, lui porta sul grande schermo un nuova razza di demoni nati dalla sua mente: i Cenobiti. "Demoni per alcuni, angeli per altri" come dice ad un certo punto del film il loro leader Pinhead. Esseri dal viso trafitto da aghi o da volti alieni la cui missione è quella di portare alla sofferenza estrema, fino alla morte, chi attiva il cubo.
Chi si pone alla visione nei nostri giorni di questo primo capitolo della saga, che ad oggi ne conta 8, si trova di fronte ad un film dai ritmi lenti e dalla poca dinamicità, ma viene colpito dalla forza visiva e precisione degli effetti speciali artigianali che l'accompagnano. Se la pellicola ha risentito dell'obbligo delle ristrettezze economiche di essere girato in interni per quanto riguarda il dinamismo sicuramente non ha patito sofferenze per l'ingegno dimostrato dai tecnici degli effetti speciali. Anche se lo stesso Barker ritiene non buona la scena della resurrezione di Frank, i particolari che seguono nella sua ricostruzione, la realizzazione visiva dei Cenobiti e molto altro sono veramente stupefacenti. L'unico neo è la finta computer grafica utilizzata per mostrare le scariche di energia emanate dal cubo in diversi momenti.
Il cast non è nulla di particolarmente eccelso. Come in molti film horror dell'epoca sono presenti attori che portano a casa il loro compito, ma che non lasciano il segno. Solo coloro che interpretano i Cenobiti sono aiutati a rimanere nell'inconscio collettivo grazie al trucco.

Tuttavia. Chi l'ha definito un cult ha ragione. Non tanto per lo sforzo tecnico, quanto per la creazione e trasposizione nell'immaginario collettivo delle nuove, mostruose ed atroci creature note come I Cenobiti.

Titolo originale Clive Barker's Hellraiser
Paese Gran Bretagna
Anno 1987
Durata 94 min
Genere horror
Regia, Soggetto, Sceneggiatura Clive Barker
Produttore Christopher Figg
Fotografia Robin Vidgeon
Montaggio Richard Marden
Musiche Christopher Young
Scenografia Michael Buchanan

Interpreti e personaggi
Andrew Robinson: Larry Cotton
Clare Higgins: Julia Cotton
Ashley Laurence: Kirsty Cotton
Sean Chapman: Frank Cotton
Oliver Smith: Frank il Mostro
Doug Bradley: Pinhead
Grace Kirby: Donna Cenobita

Doppiatori italiani
Luigi La Monica: Larry Cotton
Paila Pavese: Julia Cotton
Cristina Boraschi: Kirsty Cotton
Angelo Nicotra: Frank il Mostro
Michele Kalamera: Pinhead
Roberto Del Giudice: Donna Cenobita

giovedì 7 aprile 2011

The Ramen Girl

Abby si trasferisce a Tokyo per stare vicino al suo fidanzato Ethan. Pur di stare con lui accetta un lavoro al limite del mobbing in uno studio legale nippo americano dove sta seduta alla sua scrivania ogni giorno senza far nulla. Dopo 15 giorni di sua presenza nella megalopoli giapponese Ethan decide di lasciarla e si trasferisce ad Osaka. La solitudine in una grande città straniera in cui non conosce nessuno la fa cadere in depressione. Una sera entra in un negozio di ramen e sedutasi al tavolo inizia a sfogare la sua frustrazione, in inglese, con il padrone del ristorante e sua moglie, entrambi parlano solo giapponese. Quella serata cambia la sua vita: decide di voler diventare cuoca di ramen e si mette al servizio più completo del proprietario. La sua avventura, tra alti e bassi, durerà un anno, fino a quando, cioè, il Gran Maestro del ramen non verrà in visita alla bottega del suo sensei ad assaggiare il frutto del suo lavoro.

Un film delicato. Una rappresentazione della tradizione giapponese vista con occhio americano. Raccontato con delicatezza, ammiccamento di luci e con strizzatine d'occhio alla tradizione popolare giapponese è un film piacevole. Recitata un po' sopra le righe da Brittany Murphy, ma coadiuvata da bravi attori giapponesi che recitano quasi tutti nella loro lingua la pellicola scorre senza intoppi e senza troppi colpi di scena. Possiamo ritrovare tra le sue scene quello che il maestro Mijagi insegnava al suo allievo in Karate Kid, il principio è sempre lo stesso: dedizione ed anima in quello che fai se vuoi ben riuscire.
Una buona rappresentazione dell'importanza data dal popolo nipponico alle sue tradizioni, ma anche di come il popolo americano voglia tendere a modificarle. Il ramen creato dalla protagonista alla fine del film ne è un esempio: la pasta ed il brodo cucinati secondo tradizione sono accompagnati da elementi originari americani come spinaci, pomodori e mais. Il regista strizza l'occhio alle due culture cercando di non scontentarne nessuna.
L'alternarsi di dialoghi in inglese e giapponese a messo a repentaglio la salute mentale del curatore del doppiaggio italiano. Scelta pessima quella di lasciare i sottotitoli inglese durante le conversazioni in giapponese. Tanto pessima che quando gli occidentali parlano in giapponese nella versione originale in quella italiano appaiono i sottotitoli inglesi mentre parlano italiano. Un delirio!

Un film che passa e non resta, ma durante la visione risulta essere piacevole. Sopratutto per appassionati della cultura giapponese, un po' per sentire parlare la lingua un po' per calarsi nelle atmosfere tradizionali di una grande Paese.

Titolo Originale The Ramen Girl
Genere Commedia
Regia Robert Allan Ackerman
Sceneggiatura Becca Topol
Data di produzione 2008
Durata102 min.
Nazione USA - Giappone
Lingua Inglese/Giapponese

Interpreti
Brittany Murphy: Abby
Toshiyuki Nishida: Maezumi
Sohee Park: Toshi Iwamoto
Tammy Blanchard: Gretchen
Kimiko Yo: Reiko
Tsutomu Yamazaki: Gran Maestro

mercoledì 6 aprile 2011

Survival of the Dead - L'isola dei morti viventi

Plum Island. Isola al largo del Delaware. La famiglia del patriarca Patrick O'Flynn decide di ripulire l'isola da tutti i morti che ritornano in vita a seguito dell'epidemia degli ultimi mesi. Di contro, il capofamiglia dalle idee opposte, Seamus Muldoon vuole trovare una soluzione per poter convivere con amici e parenti zombie. Sul continente, intanto, un gruppo ex militari, formato da Sarge "Nicotina" Crocket, Chuck, Cisco e Tomboy, è alla ricerca di un posto sicuro dove stare. Il suggerimento giunge da un ragazzo tratto in salvo da un gruppo di crudeli cacciatori di zombie. Il giovane mostra ai militari un messaggio lanciato in internet nel quale Patrick O'Flynn promette pace e tranquillità sulla sua isola. Omissione del messaggio è che lui da quell'isola è stato cacciato e sta cercando un modo per ritornarci per vendicarsi.
La decisione è presa: si va a Plum Island. Ma qui non è tutto rose e fiori, anzi oltre che dai morti bisogna stare attente anche ai vivi: la famiglia Muldoon ci tiene a che nessuno interferisca.

George Romero, anche se non più verde nell'età, rinnova con costanza il mito da lui creato degli zombie. Classici, lenti, pericolosi ed affamati zombie. Uccisi, maltrattati, schiavizzati, ma sempre affamanti e pronti alla caccia. Dopo l'esperimento, peraltro riuscito, girato in prima persona in Diary of the Dead, si torna ad un classico film western dove la fa da padrona la faida tra le due famiglie che si dividono l'isola di Plum. A loro si uniscono gli "stranieri" che sposteranno, nel bene o nel male, l'ago della battaglia da una parte o dall'altra. Un film in cui l'umanità scopre di avere una possibilità di sopravvivenza alle creature romeriane in un finale meno apocalittico del solito per il sesto film della saga zombie. Il consumatore medio americano, come sempre reso sullo schermo dai non morti, forse, trova un modo per non seguire solo gli istinti indotti dalla massa, ma riesce a formulare un'alternativa importante all'abitudine. Un barlume di ragionamento che rappresenta una fioca luce di speranza per un mondo condannato.
Girato in Canada, per i soliti motivi economici, il film è una produzione indipendente. Costato poco, destinato ad un grande pubblico, è una bella sorpresa in un panorama horror sempre più scontato. L'abilità registica di Romero, che si scrive e sceneggia da solo, non è costretta negli schemi e nelle censure delle major e può mettere sul piatto allo spettatore scene splatter, mai fini a se stesse, come forse mai aveva potuto fare (da vedere con attenzione le due scene verso il finale). Recitato con convinzione da tutti i protagonisti di questo film corale scorre con piacere in tutti i suoi 90 minuti, dosando la tensione per tutta le pellicola.
Se non avete seguito le opere del maestro americano dell'horror, nato a New York nel 1940, ecco la cronologia dei suoi film dedicati agli zombie:
La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead) (1968)
Zombi (Dawn of the Dead) (1978)
Il giorno degli zombi (Day of the Dead) (1985)
La terra dei morti viventi (Land of the Dead) (2005)
Diary of the Dead - Le cronache dei morti viventi (Diary of the Dead) (2007)
Survival of the Dead - L'isola dei sopravvissuti (Survival of the Dead) (2009).

Cult. Da vedere.

Titolo originale Survival of the Dead

Paese USA, Canada
Anno 2009
Durata 90 min

Genere horror
Soggetto, Sceneggiatura, Regia George A. Romero

Produttore Paula Devonshire
Produttore esecutivo D.J. Carson, Michael Doherty, Dan Fireman, Peter Grunwald, Ara Katz, George A. Romero, Art Spiegel, Patrice Theroux
Casa di produzione Artfire Pictures
Distribuzione (Italia) Terminal Video

Effetti speciali Mark Ahee, Aaron Dinsmore, Philippe Maurais
Musiche Robert Carli
Scenografia Arvinder Grewal, Joshu de Cartier

Interpreti e personaggi
Alan Van Sprang: Sarge "Nicotina" Crocket
Kenneth Welsh: Patrick O'Flynn
Kathleen Munroe: Janet /Jane O'Flynn
Devon Bostick: Ragazzo
Richard Fitzpatrick: Seamus Muldoon
Athena Karkanis: Tomboy
Stefano DiMatteo: Francisco
Joris Jarsky: Chuck

martedì 5 aprile 2011

Dylan Dog - Almanacco della Paura 2011

Almanacco dell Paura 2011 , annuale
La convocazione

Soggetto e sceneggiatura: Giovanni Gualdoni
Disegni: Ugolino Cossu
Copertina: Angelo Stano

La vita dell'Old Boy è continuamente minacciata da persone normali, da lui mai viste ne conosciute, che tentano di ucciderlo con ogni mezzo. L'unica caratteristica comune a queste persone è che sono già morte da tempo e solo dopo la loro dipartita vanno a caccia di Dylan. Per mettere freno a questa follia l'indagatore dell'incubo dovrà recarsi in un Inferno burocratico a lui ben conosciuto già dai tempi di Golconda.

La forza dell'Almanacco annuale non è, solitamente, la storia, ma quest'anno non si può far meno di porgere i complimenti al duo che l'ha realizzata. Gualdoni e Cossu, ognuno al suo posto di combattimento, ci propongono una storia pulita, nitida, misteriosa al momento giusto e coinvolgente.
A farcire il tutto troviamo i classici resoconti annuali su libri, film e telefilm di genere horror che sono apparsi tra libreria, cinema e tv nell'anno lasciato alle spalle. Il bilancio è più negativo che positivo, sinceramente. Mentre i classici dossier ci introducono nel mondo delle favole, nel loro aspetto classico e non edulcorato, al mondo di Franz Kafka, articolo ben scritto che sembra essere quasi uno stralcio da un romanzo, e infine sugli inferni portati sullo schermo dal 1911 ad oggi.

Un compendio sull'annata Horror sempre piacevole da avere tra le mani.

lunedì 4 aprile 2011

25 Anni di Dylan Dog

Un po' in ritardo, ma ecco qualche foto scattata durante l'incontro dedicato ai 25 anni di Dylan Dog, organizzato come spin off di Cartoomics 2011, al Palazzo della Provincia di Milano, in Via Corridoni.
Una vista d'insieme dei partecipanti
Luigi Mignacco
Carlo Ambrosini
Angelo Stano
Andrea G. Pinkets con l'organizzatore
Paola Barbato... che appena finita la conferenza se ne è scappata via.
Una giornata divertente, la stessa nella quale ho pisolato un po' su Nosferatu, a contatto con artisti che animano l'immaginazione di migliaia di persone ogni mese. Sotto il punto di vista dell'organizzazione (tempi e question time) un po' scarso, ma interessante lo stesso.
Una bella esperienza, da ripetere, dalla quale ho anche ricavato qualche autografo.

venerdì 1 aprile 2011

Resident Evil: Afterlife

Il virus T si è propagato anche a Tokyo. Sotto l'incrocio di Shibuya è installato un alveare della Umbrealla Corporation che monitora e studia gli sviluppi dell'evoluzione del virus. A quattro anni dal suo scatenarsi, Alice riesce ad infiltrarsi nel covo dell'Umbrealla ed a distruggerlo. L'unico a sfuggire alla sua missione di sterminio è il presidente della società, Albert Wesker, anche lui infettatosi con il virus, ma in modo controllato. Grazie alla sua resistenza fisica riesce ad iniettare un antidoto ad Alice per far regredire le doti di guarigione, velocità e forza donatele dall'avere il T in simbiosi con i suo DNA.
Sopravvissuti entrambi alla catastrofe giapponese vanno, ignari l'uno dell'altra, per la loro strada.
Alice si reca in Alaska dove è viva la promessa di una città senza virus, senza non morti e senza infezione ha attirato migliaia di persone. Al suo arrivo viene accolta da una distesa di mezzi volanti parcheggiati, ma da nessuna città. Scoraggiata prende a bordo del suo aereo l'unica forma di vita presente nei dintorni: Claire Redfield. Ignara di essere se stessa Claire attacca Alice sotto l'influsso di uno strano congegno attaccato al suo petto. Alice, una volta disarmata la vecchia amica la carica sull'aereo e partono per sorvolare la costa ovest degli Stati Uniti.
Le uniche forme di vita a Los Angeles sono sei sopravvissuti in cima ad un penitenziario circondato da non morti. Alice e Claire si uniscono a loro per tentare di farli fuggire dall'assedio e scoprono che Arcadia, la città che cercavano in Alaska, è in realtà una nave ora al largo della baia. Ora il loro scopo è raggiungerla vivi.

Era partito col botto, Resident Evil. Il primo film era un vero horror con tensione e salti sulla poltrona. Invecchiando la saga sembra perdere un po' di smalto e rifare il verso a se stesso. In questo capitolo troviamo citazioni da Amelia, Matrix, Terminator, Silent Hill ed altri film dell'ultimo decenni, senza contare le autocitazioni. Non mancano scene veramente interessanti come il prologo a Tokyo con la ragazza al centro dell'incrocio di Shibuya, sotto la pioggia.
La resa degli effetti speciali si divide in due categoria: personaggi e scene action. Se per quello che riguarda i personaggi, principalmente i cattivi e la resa degli zombie ci troviamo di fronte ad un lavoro diligente, cresciuto con l'aumentare del numero dei film della serie, per quanto riguarda le scene di combattimento assistiamo ad uno sfacelo. Movimenti innaturali, capriole improbabile, manca solo di vedere i cavi che sostengono gli attori e poi siamo a posto.
Una Milla, evidentemente in sovrappeso dopo la gravidanza, interpreta il suo personaggio con un carico eccessivo di ironia ed autoironia, ormai lontano dal personaggio originale del primo film. I comprimari muoiono in un ordine facilmente intuibile e quelli che sopravvivono sono scontati.
Altra caratteristica della pellicola è l'uso della tecnica di ripresa in 3D che ha fatto grande Avatar. Il 2D del DVD se ne giova acquistando profondità d'immagine, ma alcune scene risultano forzate e sembrano essere funzionali solo all'effetto ottico, non alla trama.
Il finale del film è frettoloso e lascia aperta la porta al seguito già in lavorazione, probabile uscita 2012.

Un film tendenzialmente inutile, con qualche emozione procurata più dal sonoro che dagli effetti visivi, per appassionati del videogioco, della saga e di Milla Jovovich.

Titolo originale Resident Evil: Afterlife
Lingua originale Inglese
Paese Regno Unito, Germania, USA
Anno 2010
Durata 97 min

Genere azione, horror, fantascienza
Sceneggiatura e Regia Paul W.S. Anderson
Casa di produzione Constantin Film Produktion, Impact Pictures
Fotografia Glen MacPherson
Montaggio Niven Howie
Musiche tomandandy
Scenografia Arvinder Grewal

Interpreti e personaggi
Milla Jovovich: Alice
Ali Larter: Claire Redfield
Wentworth Miller: Chris Redfield
Sienna Guillory: Jill Valentine
Kim Coates: Bennet
Shawn Roberts: Albert Wesker
Spencer Locke: K-Mart
Kacey Barnfield: Crystal
Boris Kodjoe: Luthor West
Norman Yeung: Kim Yong
Sergio Peris-Mencheta: Angel Ortiz

Doppiatori italiani
Francesca Fiorentini: Alice
Roberta Pellini: Claire Redfield
Andrea Lavagnino: Chris Redfield
Christian Iansante: Bennet
Massimo Rossi: Albert Wesker
Luca Ward: Luther
Roberta Pellini: Jill Valentine
Domitilla D'Amico: K-Mart
Laura Lenghi: Crystal