venerdì 15 aprile 2011

Martin Mystère - La marea grigia

Martin Mystère n. 314, bimestrale
La marea grigia

Soggetto e sceneggiatura: Luigi Mignacco
Disegni: Paolo Ongaro
Copertina: Giancarlo Alessandrini

Nel 1630 Venezia è sconvolta da un'epidemia di peste che ne ridurrà di un terzo la popolazione. I malati vengono concentrati, destinati a morte quasi certa, nel Lazzaretto.
2011. Venezia. Nel Lazzaretto viene ritrovato il cadavere di un uomo sepolto con tra le mani uno scrigno. Intorno ai suoi resti, dagli archeologi, vengono trovati centinaia di scheletri di topo. In pochi giorni la città viene invasa da orde di ratti che aggrediscono ed uccidono gli esseri umani, tra i quali l'archeologo responsabile dello scavo.
Martin Mystère viene contattato da uno dei giovani studenti del defunto per indagare sulla sparizione dell'oggetto mysterioso contenuto nello scrigno.

Argomento molto interessante quello della peste. Mignacco lo espone in modo coinvolgente, colto e per nulla noioso attraverso la narrazione nel programma televisivo di Martin e le nozioni storiche fornite dagli archeologi. Forse un po' pesante per essere letto tutto in un fiato, ma se goduto come un libro è veramente piacevole ed acculturante.
I disegni sono la parte dolente dell'albo. Se nella rappresentazione delle architetture veneziane si trova una corrispondenza della realtà, anche se non accurata come avrebbe potuto essere, il vero disastro è individuabile dalla scarsa costanza nella raffigurazione dei soggetti. Sia i volti delle figure di contorno che quelli dei protagonisti vengono disegnati in modo diverso in ogni vignetta. L'apotesi dell'imprecisione, però, viene raggiunta in una vignetta di ambientazione storica: nel 1630 lo scienziato veneziano entra nello studio nella sua casa, gli oggetti che si vedono nella prima vignetta non si ritrovano il quella di quattro/cinque inquadrature dopo. La sola nota positiva è l'abile uso dei neri nelle molteplici scene di buio.

Una storia interessante. Piacevole da leggere ed acculturante. Così piacevole da lasciare in secondo piano il limitato standard artistico espresso da Ongaro in questa occasione.

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